L’apnea mi trova a Milano a 40 anni. Non è uno sport per giovani, Si sa. Primo livello Apnea Academy; terzo livello SSI con Moving Limits. Cavo e piastrelle, piastrelle e cavo; Liguria; Capo Noli; Camogli; muta su misura e pinne in carbonio.
Cerco qualcosa di eccitante da fare durante le vacanze al mare che inesorabilmente da 30 anni passo a Torre delle Stelle, ridente località nel Sud-Est della Sardegna; compro il primo 75.
2 anni di “cappotti”, interrotti da una lampuga suicida e un cefalo in comproprietà con Fabio, il terrore delle triglie.
Non è il sarcasmo degli amici a mettere a dura prova la tua urgenza evolutiva. Il bilancio lo fai con quel bastardo di bambino che dal fondo della spiaggia corre verso di te puntando con il dito il palloncino e urla a squarciagola… “cosa hai preso?”
L’equazione sardo uguale ostinato, da emigrato cronico che sogna di tornare a Itaca, mi irrita ma in questo caso funziona. Insisto. Miglioro fino a quando, ahimè, inciampo in un pesce pappagallo che mi vale anni di atroci e umilianti “sfottò”.
Ma io non mollo e così arrivano le prime orate, qualche sarago e i limoni, un toccasana per l’autostima dei neofiti. Le quote operative come dicono gli addetti crescono e spuntano i primi selfie da mostrare su social e affini. Progredisco ma rimango quello del pesce pappagallo fino allo scorso 10 agosto, giorno in cui insieme a Federico e Omar, siamo usciti per un pomeriggio di pesca con Cico.
Quando Federico ci ha detto che saremmo andati a pescare con Cico ricordo di aver provato contemporaneamente gioia per l’occasione di vedere all’opera un mostro della pesca e imbarazzo per la consapevolezza di non poter pescare alle sue quote.
Ci ritroviamo al porto di Marina Piccola alle 13. Saluti e convenevoli di rito. Conosciamo Cimbro. Poche parole, si muove veloce, lui e Cico eseguono una routine ordinata e precisa e il gommone è sullo scivolo in 5 minuti. Attrezzatura a bordo e si parte. Pochi metri e ci fermiamo per infilare le mute. Non provo il solito brivido al contatto con l’acqua. Guardo l’orologio. 28 gradi.
15 minuti di navigazione e siamo nel blu a caricare i fucili. Il primo spot è fondo. Una striscia tra i 32 e i 35 in mezzo al mare. Cico fa un primo tuffo, alcuni metri, immagino per trovare il punto giusto, risale, si ventila e parte. Non è un tuffo lungo, risale dopo un minuto e 20 in compagnia di un dentice. Sembra uno spot pubblicitario. A turno ci immergiamo tutti.
Tocca a me. Primo tuffo. Sono agitato. Respiro al limite dell’iperventilazione. Arrivo a 15 metri mi fermo e cerco la striscia. È bellissima. Sabbia bianca ai lati. Sembra la cresta di una montagna. L’altra mia grande passione. Per alcuni secondi mi dimentico che ho paura. Aspetto un po’ fermo a mezz’acqua perché non voglio risalire subito. Pinneggio fino alla superficie e trovo Omar, come sempre, è li a sorvegliarmi. Lo ringrazio in silenzio.
Secondo tuffo arrivo sul fondo e scappo come un ladro. Troppo impegnativo per me. Cerco di non avvilirmi.Risaliamo sul gommone e via verso il secondo spot. Una secca, 25 metri.
Stesso identico copione. Cico cerca il punto, si ventila, si immerge e risale con un sarago oltre il kg.
Posso pescare a queste quote. Ho apnee lunghe, oltre i 2 minuti. Mi faccio confortare dalla razionalità. Parto. L’acqua in superficie non è trasparente. Vedo il fondo solo quando inizio la caduta. C’è corrente e per un attimo penso che mi sposterà e che Omar farà fatica a vedermi. È un pensiero killer, ciuccia ossigeno, lo so. Cerco qualcosa di bello a cui ancorarmi. Mia figlia, 10 mesi. Insiste a chiamarmi mamma. Sorrido nella maschera. Sono sul fondo, mi appoggio e come ogni volta mi domando da che parte arriveranno i pesci. Sto li un po’. Risalgo. Omar è lontano ma sono tranquillo.
Terzo spot. Roba da grandi. Un relitto oltre i 40 con sgancio. Spesso ci sono i denticioni. Arrivano da sinistra avverte Cico. Fede si prepara e scompare nel blu. È un tuffo lungo. Risale con un sarago che gli vale 2 minuti di facile e scontata ironia. L’eterna rivalità tra apnea e pesca incendia l’acqua del golfo degli angeli. “ Almeno li hai visti i dentici chiede Cico?
Nella mia testa immagino un aspetto a 44 metri circondato da dentici e mi domando se mai ci arriverò. Come?
Il pomeriggio va avanti così, tra sassi in mezzo al nulla, vento, relitti, secche, prede e racconti di pesca e di mare. Anche Cimbro all’inizio molto silenzioso si rivela un forte pescatore e un piacevole compagno di avventura.
Con disarmante semplicità ci racconta della sua inconsapevole condizione di Senza mani (-63 metri in handsfree) e di quanto Cico gli abbia insegnato in questi anni sulla pesca profonda.
È tardi, ultimo giro. Cico e Cimbro optano per il last chance spot. Suona bene. Sono stanco ma suona bene. Immagino una pietra a 40 metri che come solo nella lingua sarda puoi sintetizzare “fa dentici”. Non chiedo.
Lo scenario davanti ai nostri occhi è meraviglioso. La sella del diavolo è rossa e blu come le maglie dello scudetto del Cagliari di Gigi Riva che mettevi quando eri bambino . Penso che mi piacerebbe tornare a vivere in Sardegna e possedere 100 pomeriggi così all’anno.
Cimbro ci fa da barcaiolo. Stesso copione. Cico ci porta sul punto, pochi secondi per prendere aria e si tuffa. Lo seguo con lo sguardo. Penso ora sparirà ma in pochi secondi è sul fondo. Last chance spot è un presentimento d’amore tra i 15 e i 20 metri. Mi ritrovo a pensare “speriamo che questa volta non prema il grilletto del suo Alemanni” e provo vergogna.
Torna in superficie. Non ha sparato. Tocca a me. Mi sposto 10 metri, capovolta e scivolo verso il fondo. Decido di infilarmi tra 2 massi e inizio l’aspetto. Pochi secondi e arriva un dentice di un paio di kg. Mi punta, dritto come un fuso. Mi vede, scoda. Sparo. Non lo vedo più. Giro dietro i sassi, 2 metri più giu. Insagolato, furente cerca di liberarsi. Risalgo urlando come un bambino e mulinando le braccia come una pala eolica nel maestrale. Cico, mi viene incontro e prende il dentice con le mani. Gli urlo, che è il mio primo dentice. Mi dice bravo e aggiunge serio: “il tuo fucile spara basso”. Lo guardo confuso e lui mi indica il dentice. Un filo sottile di carne morbida. Lo separa dalla libertà.
Salgo in gommone e so che il pesce pappagallo non c’è più. Sono un pescatore. Ho un dentice nel mio i phone e una storia da raccontare.
Quel pomeriggio io e Omar abbiamo vissuto un’esperienza memorabile. Perché? Cosa la ha resa tale? pescare con i grandi? Vedere tanti spot diversi per morfologia e quote? Avvicinarsi in sicurezza ai propri limiti? Provare emozioni così diverse e distanti, dalla frustrazione all’onnipotenza, alla felicità? Ricevere tanti suggerimenti e spunti di miglioramento? Sentire vicine persone che conosci a malapena perché ti unisce la passione per il mare e la pesca?…Probabilmente tutto questo più tutto quello che vale solo per me o per Omar.
Tornati a casa ci siamo domandati se esistesse un modo, partendo da questa esperienza, per sviluppare un progetto che mettesse insieme tutto questo con un obiettivo formativo e di crescita individuale. Sembra una televendita. Provo a spiegarmi così.
Ho imparato a fare snowboard a 18 anni. Una droga difficile da reperire se vivi a Cagliari nel 1988. Conservo ancora come reliquie i dvd, le cassette e le riviste che acquistavo nei negozi di surf e windsurf. Un articolo sull’Alaska mi ha folgorato a 20 anni. Un posto dimenticato dalla civiltà, pendii ripidi, immacolati resi più sicuri dalla salsedine del mare. Un giorno ci andrò… 3 anni fa, a distanza di 30 anni, ho realizzato il sogno con tre amici. È stata un’esperienza indimenticabile!
Haines è un posto che non ha impianti di risalita. Le opzioni sono elicottero, gatto delle nevi e pelli e arrivarci costa tanto, tantissimo.
Almeno una volta al mese quando il quotidiano mi affoga apro il pc e ingoio foto e video di quei 10 giorni. Quelle immagini hanno il potere di ricatapultarmi in quel posto assurdo, magico, dove scii sul mare, mangi un sogliolone che chiamano halibut e di notte se hai culo vedi l’aurora boreale. Mi emoziono. Un solo rammarico. Grande. Volevamo passare 2 giorni sul ghiacciaio ma non ci siamo preparati a sufficienza. Avevamo 3 mesi di stagione invernale prima della partenza a fine febbraio ma non sapevamo come allenarci, cosa fare e quando farlo.
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Una giornata di pesca con i grandi della pesca per me dovrebbe avere queste tre cose: un’esperienza memorabile da vivere, qualcosa per ricordarsela e un programma di allenamento per centrare un obiettivo che sentiamo essere importante per noi.
Buon blu a tutti!