Per spezzare la routine dell’inverno in città non c’è niente di meglio che un viaggio in un paradiso tropicale. Se ci si aggiunge l’emozione della pesca in apnea e la compagnia di buoni amici, ecco che la formula della vacanza perfetta è completa. Quest’anno io e Roberto Pusinelli abbiamo scelto la penisola di Osa, in Costa Rica, meta da sogno nel cuore della foresta, affacciata sull’Oceano Pacifico. Si tratta di un vero paradiso naturalistico ancora incontaminato che attrae turisti da tutto il mondo ma, per fortuna, ancora pochi pescatori.
Qui abbiamo raggiunto il nostro amico Charlie Slattery (titolare di Good Time Charlie Charters) e altri due compagni di avventura statunitensi, Ian e Brandon. Charlie è la nostra guida, vive qui sei mesi all’anno, è un pescatore subacqueo esperto e ha organizzato il nostro soggiorno con grande efficienza. La fortuna però non sembra essere dalla nostra parte: arrivati a San Josè, capitale del Costa Rica, scopriamo che il nostro bagaglio è andato smarrito e che il volo interno che ci deve portare alla nostra destinazione finale è stato cancellato. Inconvenienti questi che anche la più attenta e meticolosa pianificazione non è riuscita ad evitare. Iniziamo a renderci conto che la chiave del successo di questo viaggio sarà adattarsi alle circostanze senza disperare mai. Riusciamo a partire con un altro volo, ma senza i nostri bagagli e atterrati a Drake Bay proseguiamo verso la nostra destinazione finale con un fuori strada, l’unico mezzo in grado di attraversare la foresta e guadare i corsi d’acqua di quest’angolo di mondo lontano dalla civiltà. Anche il meteo ci volta le spalle: a metà gennaio la stagione umida dovrebbe essere ormai terminata ma la foresta è ancora battuta da piogge torrenziali inusuali per il periodo. Raggiungiamo finalmente la nostra destinazione: un vero e proprio paradiso, con bungalow a due passi dalla spiaggia immersi nel verde lussureggiante della foresta, ma anche estremamente semplice e privo dei comfort che il turista medio potrebbe considerare imprescindibili: niente WiFi, niente aria condizionata, niente acqua calda… Ancora una volta la parola d’ordine è “adattamento”. Io e Roberto non ci fermiamo certo di fronte a questi dettagli ma siamo invece preoccupati di non avere con noi la nostra attrezzatura: l’indomani è prevista la prima uscita in barca e il nostro bagaglio ci raggiungerà soltanto il giorno seguente. Qualunque apneista e pescatore subacqueo conosce l’importanza di avere con sé la propria attrezzatura personale, che conosce e della quale si fida, tanto più in condizioni estreme come queste. Per fortuna Charlie, Ian e Brandon hanno attrezzatura di scorta che generosamente ci prestano mettendoci in condizione di entrare in acqua. Non possiamo sentirci propriamente a nostro agio, ci ritroviamo a pescare su batimetriche già piuttosto impegnative e con forti correnti praticamente in costume da bagno, ma la parola “adattamento” ritorna ad essere il nostro mantra. Compensiamo l’handicap tecnico confidando sull’esperienza apneistica, ma senza strafare, mantenendoci comunque sempre in condizioni di sicurezza.
Le prede d’elezione delle nostre battute di pesca sono le cubere, predatori dalla forza straordinaria che, quando colpiti, spesso reagiscono con violenza e a volte si intanano danneggiando le attrezzature. A fine giornata io e Roberto riusciamo a portare a terra un paio di belle cubere e siamo soddisfatti di questa prima uscita, ma la migliore notizia è che finalmente è arrivata la nostra attrezzatura che potremo già utilizzare l’indomani.
Con le nostre mute, le nostre pinne, i nostri fucili preparati alla perfezione da Andrea (DeepBlue Varese) è tutta un’altra storia… riusciamo ad immergerci con maggiore serenità: possiamo aumentare i tempi di apnea e le quote operative sentendoci totalmente sicuri dei nostri mezzi e possiamo così insidiare gli esemplari più grandi che abitano acque più profonde. I risultati non si fanno attendere e sia io che Roberto portiamo a paiolo, uno ciascuno, due esemplari di stazza davvero ragguardevole catturati tra i 25 e i 28 metri di profondità.
Dopo un giorno di meritato riposo, riprendiamo la pesca. Roberto cerca di variare le catture: qui non ci sono solo cubere ma anche altri snapper, ricciole di peso, wahoo e molto altro. Anche Ian e Brandon si danno da fare contribuendo a rendere i carnieri sostanziosi, mentre Charlie ci guida sicuro sui suoi spot di pesca, ci fornisce preziosi consigli e ci scatta fotografie straordinarie.
Il quarto e ultimo giorno di pesca è il più impegnativo. Le correnti sono ancora più forti e spesso hanno diverse direzioni in superficie e in profondità, la visibilità è discreta ma dalla superficie non si riesce a scorgere il fondale, gli spot prescelti sono tutti profondi: riuscire a cadere esattamente dove si vuole, in queste condizioni, è davvero un’impresa!
Nonostante le avversità Roberto riesce a portare a tiro una bella ricciola mentre io mi incaponisco su una cubera enorme che stimo sui 45kg avvistata a grande profondità. Dopo cinque tuffi consecutivi sul filo dei -30m riesco finalmente a portarmi nella posizione ideale per insidiarla ma ormai si è fatta smaliziata e si è nascosta chissà dove tra le rocce. Anche se non è una tecnica molto efficace per questo tipo di pesca, decido di tentare un aspetto: le mie condizioni atletiche per fortuna mi consentono di operare in sicurezza e ritrovare questo punto esatto con un altro tuffo non sarebbe affatto facile. Dopo circa 40 secondi appare finalmente una grossa cubera, non è il gigante che avevo avvistato precedentemente ma è abbastanza grande da indurmi a decidere di premere comunque il grilletto e tornare in superficie con una preda di tutto riguardo.
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È ormai tempo di tornare a terra, senza rimpianti, ma anzi con il desiderio di tornare presto in queste acque ad insidiare ancora le grandi cubere del Costa Rica.
A presto,
Nicola