Ho iniziato a fare apnea per caso a Villasimius davanti a una delle spiagge più belle della costa sud-orientale della Sardegna, la spiaggia del Simius. Là, a 100 metri dalla riva, vive una colonia di pesci balestra, attrazione per locali e turisti particolarmente gradita quando il maestrale suggerisce di non avventurarsi troppo. Nonostante passi la maggior parte delle vacanze estive in quei luoghi, non avevo mai assistito al teatrino dei pesci balestra.
Metto la maschera, vinco la mia naturale avversione al contatto con l’acqua fredda, e, come per magia, tre incuriositi pesci balestra appaiono proprio sotto le mie pinne. Li vedo come ipnotizzati da una strana figura nera appoggiata placidamente sul fondale sabbioso che al posto della bacchetta magica ostenta due eleganti pinnoni neri. Lo spettacolo dura un’infinità e io passo quel tempo tra stupore e ammirazione per la performance di uomo e pesci. Torno a Milano e cerco un corso di apnea. A settembre ne parte uno a pochi metri dal mio ufficio. E’ il segno che aspettavo. Mi iscrivo ed eccomi alle 21.30 di un mercoledì autunnale qualsiasi nella stanza buia di una piscina comunale ansioso di trattenere il respiro.
ll percorso è segnato; le prove di apnea statiche in autostrada, la conta delle piastrelle, le prime pinne in carbonio, la muta su misura, “tanto costa come le altre”, le code interminabili per raggiungere la Liguria, l’otorino tra i preferiti nella rubrica, tanti snorkel persi, e per quelli che: “io mai sparerò a un essere vivente”, il primo fucile. Cosa rende la mia esperienza simile a quella degli altri? Cosa accomuna gli apneisti di tutto il mondo? Cosa spinge una persona a scegliere una disciplina così particolare? Questa domanda, un po’ per curiosità, un po’ per deformazione professionale mi ha sempre affascinato e tutte le volte che ho provato a farla ai c.d. esperti del settore mi sono portato a casa più interrogativi che riposte concrete: “Il sub si immerge per guardare, l’apneista per guardarsi dentro” frase celebre di Umberto Pelizzari, icona del mondo dell’apnea rappresenta in modo efficace l’incapacità di esprimere razionalmente qualcosa che sentiamo ma che non ha voce. Il sistema limbico, quella parte del nostro cervello che è responsabile di tutti i nostri sentimenti e che guida i nostri processi decisionali, quella parte che mi ha fatto scegliere l’apnea non ha alcuna capacità di linguaggio. Eppure sentiamo che è la disciplina più bella, ricca e nutriente del mondo e passiamo l’inverno a immaginare che il mare ci liberi dalla gravità delle nostre routine.
“Il mare non appartiene ai despoti… trenta piedi sotto il suo livello, il loro potere cessa, la loro influenza si estingue, tutta la loro potenza svanisce! Ah! Signore, vivete, vivete nel seno del mare! Qui soltanto è indipendenza, qui non riconosco padroni, qui sono libero!”
Jules Verne
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Noi di Moving Limits abbiamo provato a guardare, con un approccio razionale e scientifico, dentro gli apneisti e con il supporto del prof Furio Camillo dell’Università di Bologna abbiamo individuato quelle che sembrano essere le principali motivazioni che spingono le persone a scegliere l’apnea; quindi le abbiamo riunite in gruppi di persone che presentano caratteristiche omogenee.
Come l’abbiamo fatto?
Cinquanta apneisti di vario genere e forma sono stati invitati a partecipare a dei focus group e i risultati qualitativi ottenuti sono stati utilizzati per sviluppare una survey che nei prossimi mesi estenderemo a una popolazione allargata internazionale.
Ciao,
Giacomo