Prepararsi ad un tuffo anticipa in qualche modo l’esperienza, contiene già una dimensione di eccitamento in cui pre-gustiamo le sensazioni che proveremo, ci pre-occupiamo della nostra preparazione, siamo contenti di aver trovato spazio e tempo per vivere la nostra passione.
Può essere che nel procedere dei preparativi, ogni passaggio, soprattutto se siamo un po’ inesperti, ci faccia passare dall’eccitazione ad una leggera sensazione di stress, sensazione che può darci la carica, ma anche distrarci… in ogni caso, ciò che è certo è che, sicuramente, lo stress è un nostro ottimo informatore (se lo usiamo).
Così, l’eccitazione che accompagnava l’esperienza può progressivamente trasformarsi in leggero nervosismo. Non sempre siamo consapevoli di questi passaggi che invece sono dei passaggi di soglie che è importante cogliere, campanelli per la nostra attenzione e la nostra presenza.
Se il nervosismo si trasforma in paura a 20 metri di profondità, e poi si trasforma in panico, possiamo trovarci in una situazione molto pericolosa. Le stesse cose mi succedono quando, come consulente, mi preparo a entrare in un’aula di formazione con altre persone, per fare un lavoro che mi appassiona e con una serie di incognite date dall’interazione con il gruppo, portatore di proprie competenze, esperienze, attese, pertinenti o impertinenti con ciò che è nelle mie previsioni di gestione d’aula. Anche per me, quindi, ci sono casi in cui l’eccitazione si trasforma in nervosismo, stress, magari a causa di un evento imprevisto… fino a possibili situazioni estreme di panico… con un’unica differenza: io in aula non rischio di mettere in pericolo la mia vita. Tutte le nostre sensazioni ed emozioni ci informano, non ce ne sono buone o cattive, piuttosto possiamo riconoscere che in particolari momenti, alcune siano più funzionali di altre. Il nervosismo, la paura, se intercettati per tempo, ci informano della nostra condizione e di quella altrui… se ri-conosciamo queste emozioni, se siamo in ascolto di noi stessi, potremo gestirle anziché essere gestiti. Maurizio Catino, professore di sociologia in Università Bicocca, e diverse teorie sugli incidenti, sostengono che ogni incidente della storia (da Linate a Chernobyl) è stato preceduto da una serie di segnali, a volte di “quasi incidenti” (near misses) che sono stati ignorati; se fossero stati visti e trattati, l’incidente finale e fatale si sarebbe potuto evitare. Essere consapevoli ed “accettare” i segnali che le nostre percezioni, emozioni, pensieri ci danno è per tutti una questione di stare completamente nell’esperienza, ma anche di sicurezza. Per ri-conoscere occorre conoscere: quali sono le sensazioni fisiche che provo quando comincio ad andare in ansia, quando sono nervoso, quando sta per arrivare la paura? Forse posso percepire una leggera accelerazione del cuore, il calore del corpo che cambia, il respiro che muta il suo ritmo o diventa più corto. Il corpo ci informa sempre prima di ciò che sta succedendo, prima che la mente ne diventi consapevole. Allora se mi alleno a ri-conoscere i segnali che precedono la paura, potrò consentire alla mia corteccia pre-frontale di intervenire “escludendo” l’amigdala (la parte più primitiva del cervello che, in condizioni di pericolo percepito, tende a prendere il sopravvento sulle nostre capacità più elaborative) e strutturando un’azione più consapevole che si prenda cura del nervosismo prima che proceda nel suo percorso di escalation.
Come fare? riconoscendo l’emozione ed il pensiero della paura come nostre interpretazioni della realtà, non come la realtà stessa: non è tanto importante l’evento in sé ma il nostro modo di metterci in relazione con esso.
Per questo è utile, per un apneista, mettere nella “propria cassetta degli attrezzi” la pratica della Mindfulness che potenzia un’attitudine umana, che tutti abbiamo già in dotazione, che è quella di prestare attenzione a ciò che sta succedendo “qui ed ora”, in modo non giudicante. Questo ci consentirà di godere appieno dell’esperienza del tuffo, notare ed osservare quello che succede nel nostro corpo, nelle nostre emozioni e nella nostra mente. Nel nostro caso questo potrebbe voler dire non farci prendere dal panico, non giudicarci incapaci (perché questo non ci è assolutamente d’aiuto, anzi), riconoscere ed accogliere un nostro limite di quel momento senza reagire istintivamente alla situazione e magari perdere il controllo: a chi non è capitato di risalire da un tuffo fondo come un missile perché a un certo punto la paura ha preso il sopravvento? Il ciclo di risposta dello stress si organizza in onde successive con picchi e avvallamenti. Un ciclo di picco dura 90 secondi e questo vuol dire che, se si è allenati a resistere per quei 90 secondi, il ciclo si allontanerà dal suo picco e sarà più semplice prendere il controllo della situazione, gestendola al meglio.
La meditazione è una pratica non una tecnica e come tutte le pratiche va allenata, anche perché in sé la parte di “tecnica” è veramente semplice: occorre prestare attenzione al respiro ed ogni volta che la mente si distrarrà, accorgersene e riportare con gentilezza e senza giudizio, la propria attenzione al respiro. La consapevolezza del respiro che un apneista sviluppa, per la propria pratica di immersione, è sicuramente un grande vantaggio, perché c’è già una grande attenzione e capacità di osservazione di questo processo. Il respiro, nella pratica meditativa, è un oggetto di attenzione (che ha anche un effetto calmante), ma anche il dolore può essere un oggetto di attenzione, un suono, una percezione (caldo/freddo), … con l’allenamento sceglierò io a cosa prestare attenzione e mi allenerò a tenerla. Praticare vuol dire darsi la possibilità di “essere presenti” non solo seduti con tranquillità sul nostro cuscino da meditazione, ma di fronte all’imprevisto ed in situazioni di emergenza e stress. Per questo non è sufficiente sedersi e meditare prima dell’immersione, ma occorre riconoscere la Mindfulness come un’attitudine, una competenza da sviluppare ed allenare con costanza.
Nella mindfulness, un passaggio fondamentale è l’accettazione, che non deve essere confusa con un sentimento di rassegnazione ma piuttosto come la presa d’atto di un dato di realtà. Imparare ad accettare, ovvero riconoscere senza giudizio, di essere agitato, accettare di avere paura, non è una capacità che si improvvisa. D’altro canto, ignorare questi eventi o cercare di tenerli “fuori dalla porta”, in realtà non fa che potenziarne l’effetto. Ignorandoli non ci potremo preparare, l’emozione crescerà silente fino a quando ci travolgerà, attivando reazioni non sempre funzionali di attacco-fuga. Chiuderli fuori dalla porta, in alternativa, li farà diventare solo più insistenti e questo contribuirà anche a distrarre la nostra attenzione e le nostre energie.
Con l’aiuto della meditazione possiamo offrirci la possibilità di potenziare la nostra esperienza e allenare noi stessi a reagire con calma in situazioni stressanti in modo da prevenire incidenti che potrebbero avere conseguenze serie.
C’è sempre un momento buono per iniziare a meditare: perché non adesso?
Liberamente ispirato all’articolo “Meditation and Diving How meditation can help prevent serious diving accidents” di Gustaf Lundskog
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